Omaggio a Mimmo Jodice: le radici napoletane e l’ascesa dell’autodidatta
Mimmo Jodice nasce nel rione Sanità a Napoli, nel marzo 1934. Rimasto orfano di padre da bambino, fin dai primi anni è costretto ad entrare nel mondo del lavoro: ciò non lo distoglie però dall’interesse per l’arte, la pittura, la musica.
Alla fine degli anni Cinquanta inizia ad avvicinarsi alla fotografia, prima per sperimentare, poi come scelta consapevole: «La fotografia non è mezzo descrittivo, ma strumento espressivo», dirà.
Negli anni Sessanta entra in contatto con l’avanguardia napoletana e internazionale: la sua fotografia comincia a contaminarsi di arte concettuale, di sperimentazione materica.
Jodice non si limita a “scattare” immagini, ma lavora sull’immagine come materia, come temporaneo, come visione. Una visione dove Napoli non è soltanto soggetto, ma lente, simbolo e spazio dell’anima.
Omaggio a Mimmo Jodice: Napoli, la città che non finisce mai di morire e di rinascere
«Se fossi nato a Milano o a Zurigo non avrei fatto il fotografo. Non sarei sopravvissuto alla mancanza del mare», amava dire.
Napoli è al centro della sua ricerca: non la cartolina facile, ma la città sotterranea, stratificata, metafisica.
Le serie come Vedute di Napoli (1980) o La città invisibile (1990) rendono evidente la sua volontà di “svuotare” la figura umana per dare voce alle pietre, alle architetture, alle ombre.
È in questa Napoli sospesa tra mito e storicità che Jodice costruisce il suo linguaggio: una fotografia in bianco e nero, pensata, meditativa, che parla di tempo e memoria, più che di cronaca.
Gli anni 70
Negli anni Settanta Jodice fa i conti con le tensioni sociali della sua città: rioni, feste popolari, tradizioni, miseria, trasformazioni urbane. Il suo approccio è critico e partecipe.
Poi, progressivamente, il suo sguardo cambia: non più soltanto “fotografia politica”, ma fotografia come indagine del tempo, del vuoto, della memoria. In città, nei luoghi del Mediterraneo, nelle rovine, nel paesaggio. Questa svolta è una delle caratteristiche che lo infondono di universalità.
Le immagini di Jodice diventano sospese: “silenzio che prende i luoghi e la fotografia diventa visione metafisica”, scrive un critico.
Il maestro e l’insegnamento
Dal 1970 al 1994 insegna alla Accademia di Belle Arti di Napoli, fondando in Italia una delle prime cattedre di fotografia nelle belle arti. Generazioni di fotografi napoletani e non solo hanno imparato da lui a guardare — prima ancora che a scattare.
La sua carriera è costellata di premi e retrospettive: nel 2003 è il primo fotografo a ricevere il Premio Antonio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei. Le sue mostre attraversano il mondo: da Parigi a Filadelfia, da San Paolo al San Francisco Museum of Art.
Eppure non si allontana mai da Napoli: quella città resta per lui patria, tema, casa, condizione. E il suo scopo rimane quello di “insegnare lo sguardo”, non solo a catturare immagini.
“Quando fotografi devi fermare il tempo prima che lui se ne accorga e si vendichi” cit. Mimmo Jodice.
“Quando fotografi devi fermare il tempo prima che lui se ne accorga e si vendichi” cit. Mimmo Jodice.
La meraviglia delle immagini di Jodice
Jodice è stato e resterà un maestro senza tempo, ma perchè?
1. La luce come materia poetica. Nella sua fotografia la luce non illumina solo: svela, trasforma, dissolve. “Qualcosa che mi fa immaginare e sognare”, dice lui stesso.
2. Il bianco e nero come scelta concettuale. Per Jodice il colore era “già realtà”. Il bianco e nero gli permetteva sospensione, rimozione del superfluo, tempo interno.
3. Il paesaggio e le architetture come protagonisti. Le figure umane si ritirano, per lasciare che gli spazi parlino: della storia, del sacro, del comune e dell’eccezione.
4. Una fotografia che non ferma il tempo ma lo interroga. Le sue immagini ci invitano a chiedere: “Cosa c’era prima?”, “Che cosa resterà?”, “Quale memoria dorme in questo muro?”.
5. Un legame tra locale e universale. Napoli, il Mediterraneo, le rovine: ma anche Boston, Parigi, le città visibili. Jodice espande il suo sguardo oltre il “qui” per toccare l’“ovunque”.
L’eredità di Mimmo Jodice
Nel nostro contesto – quello dei creator, dei fotografi, dei videomaker – l’eredità di Mimmo Jodice è di grande insegnamento. Ecco cosa possiamo trarre oggi:
• Guardare prima di scattare: non affrettare l’immagine, ma dare tempo allo sguardo.
• Lavorare sulla luce e sulla forma, non solo sul soggetto. Anche nell’era digitale, questa lezione resta valida.
• Collegare la propria visione al contesto, ma senza limitarlo: la località (Napoli) di Jodice è microcosmo e simbolo.
• Usare la fotografia come strumento di riflessione, non soltanto come riproduzione. In un mondo dove l’immagine è ovunque, serve ancora uno sguardo che restituisca profondità.
Conclusioni
Con la sua scomparsa, il 28 ottobre 2025, lascia un vuoto enorme nel panorama della fotografia italiana. Ma lascia anche un insegnamento: che la fotografia può essere testimonianza, poesia, memoria, ma soprattutto visione. “Guardare bene”, diceva, “significa accarezzare la forma con la luce”.
Ecco allora: grazie Mimmo Jodice. Per la Napoli che ci hai restituito. Per il tempo che ci hai mostrato.
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