Robert Capa: Il coraggio di guardare da vicino
“Se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino.”
Con questa frase, Robert Capa ha definito non solo la sua carriera, ma l’essenza stessa del fotogiornalismo.
Nato a Budapest il 22 ottobre 1913 come Friedmann Endre Ernő, Capa fuggì giovanissimo dall’Ungheria per sottrarsi alle persecuzioni politiche e giunse a Parigi negli anni Trenta, quando l’Europa viveva una situazione politica complessa, presentandosi come una polveriera pronta a esplodere.
Lì, insieme alla fotografa Gerda Taro, decise di darsi un nome nuovo che suonasse internazionale, audace, quasi hollywoodiano. Prendendo ispirazione dal famosissimo regista italo americano Frank Capra, nacqe così Robert Capa, un’identità capace di spalancargli le porte delle redazioni più importanti del mondo.
All’epoca, Friedmann Endre Ernő forse non immaginava che quel nome sarebbe diventato leggenda.
Robert Capa: “The falling soldier”
La sua fama esplose con uno scatto: “The Falling Soldier”, l’immagine di un miliziano repubblicano colpito a morte durante la Guerra civile spagnola.
Una foto tanto potente quanto controversa — ancora oggi gli storici discutono se sia stata spontanea o ricostruita.
Quell’immagine, a distanza di anni, emana ancora tutto il dramma emotivo vissuto durante il conflitto, raccontava e racconta meglio di qualunque cronaca la brutalità e l’assurdità della guerra.
Per Capa, la macchina fotografica non era un’arma, ma un atto di presenza e di moralità.
Seguì i civili, i rifugiati, i soldati stremati. Raccontò la paura e la speranza, la polvere e il sangue.
E quando nel 1937 perse Gerda Taro – travolta da un carro armato mentre fotografava il fronte di Brunete – il suo sguardo cambiò per sempre.
Dallo sbarco in Normandia alla nascita di Magnum Photos
Capa coprì cinque guerre:
• la Guerra civile spagnola,
• il conflitto sino-giapponese,
• la Seconda Guerra Mondiale,
• la guerra arabo-israeliana,
• e infine la guerra d’Indocina, dove trovò la morte nel 1954.
Si distinse anche come fotografo in tempo di pace, ritraendo attori ed artisti e documentando la vita decadente ed opulenta dei ricchi europei.
Il suo momento più celebre rimane il D-Day, lo sbarco in Normandia del 6 giugno 1944.
Imbarcato con i soldati americani sulla spiaggia di Omaha, Capa realizzò una serie di scatti tremolanti, sfocati, quasi astratti — immagini nate dal caos e dalla paura.
Solo undici immagini sopravvissero allo sviluppo, ma bastarono a cambiare la storia della fotografia.
Quelle fotografie non erano perfette: erano spaventosamente vere.
Nel dopoguerra, insieme a Henri Cartier-Bresson e David Seymour, fondò la Magnum Photos.
Una cooperativa di fotografi liberi, indipendenti, padroni del proprio lavoro.
Un gesto rivoluzionario, in un’epoca in cui le agenzie detenevano ogni diritto sulle immagini.
La guerra in Indocina, la morte di Capa
Nel 1954, Capa accettò un incarico in Indocina per la rivista Life. Durante una missione nel delta del fiume Rosso, posò il piede su una mina. Morì sul colpo, a quarant’anni.
Il suo ultimo rullino fu ritrovato nella tasca della giacca, intatto.
La sua scomparsa segnò la fine di un’epoca e l’inizio del mito: il fotografo che sfidava la morte per mostrarla al mondo.
Il fotoreporter che, a differenza di molti, non si limitava a guardare da “lontano”: viveva sul campo la realtà che raccontava.
Robert Capa è stato spesso definito come il più grande fotoreporter al mondo. Con la sua macchina fotografica ha attraversato cinque conflitti, restituendo al mondo immagini che ancora oggi raccontano il coraggio, la paura e la dignità dell’uomo di fronte all’orrore.
Robert Capa è stato spesso definito come il più grande fotoreporter al mondo. Con la sua macchina fotografica ha attraversato cinque conflitti, restituendo al mondo immagini che ancora oggi raccontano il coraggio, la paura e la dignità dell’uomo di fronte all’orrore.
Stile, eredità e mito
Il segreto di Capa era proprio questo: esserci. Non cercava la foto perfetta, ma quella vera.
Usava macchine leggere, si muoveva tra i soldati, cadeva con loro nel fango. Non si teneva mai a distanza, era coinvolto in prima persona.
La sua influenza e la sua eredità sono inestimabili: definito spesso come il fotoreporter di guerra più famoso di sempre, Capa ha ridefinito l’idea stessa di fotogiornalismo.
Il fratello Cornell Capa, per onorarne la memoria, fondò l’International Center of Photography (ICP) di New York, oggi una delle istituzioni fotografiche più importanti del mondo.
E ogni anno, il Robert Capa Gold Medal Award premia il fotografo che ha dimostrato “eccezionale coraggio e impatto visivo” nella copertura di eventi internazionali.
Conclusioni
Robert Capa non fotografava solo la guerra: ne raccontava l’anima.
Con la sua macchina fotografica trasformò l’orrore in testimonianza, la paura in verità, l’attimo in memoria collettiva.
A distanza di anni, il suo messaggio resta universale: per capire davvero il mondo, bisogna avere il coraggio di avvicinarsi.
E, come Capa ci ha insegnato, la distanza più grande non è mai quella tra fotografo e soggetto, ma tra chi vede e chi sceglie di non vedere.
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